Nel 1990 il Cenelec ha stabilito una tensione nominale unica in tutta Europa e la decisione è caduta sul valore di 230 V, ma le leggi di stato italiane sono riuscite a adeguarsi solo nel 2012.
L’unificazione è uno degli scopi fondamentali della normativa tecnica. Avere, ad esempio, un modello di presa a spina o il passo per le viti unificati porta a evidenti e notevoli vantaggi tecnici e minori costi. Alla nascita dell’Unione Europea si è giustamente pensato di andare verso una tensione nominale unica in tutto il suo territorio, vediamo come andò e com’è la situazione attuale in Italia tra tensione nominale e tolleranze ammesse.
Un po’ di storia
In Europa, prima del 1990, alcuni Paesi membri avevano come tensione nominale monofase 220 V, altri 230 V e altri ancora 240 V. La scelta per la tensione unica è caduta sul valore di 230 V, il mediano e il più facile da adottare per tutti i Paesi membri.
Nel 1990 il Cenelec, con il documento armonizzato HD 472 S1, stabilì la tensione nominale in 230/400 V per la distribuzione a 4 fili: vale a dire 230 V tra fase e neutro e 400 V tra fase e fase. Dallo stesso provvedimento venne anche normata a 230 V la tensione per la distribuzione a tre fili, che ancora esiste in poche zone d’Italia, dove non è presente il neutro ma vengono portate al contatore bipolare due fasi la cui differenza di potenziale è sempre di 230 V.
Norme CEI e la legge dello stato
Il CEI si adeguò tempestivamente alle indicazioni del Cenelec con la Norma CEI 8-6 (ormai abrogata), portando i valori di tensione nominale da 220 a 230 V e da 380 a 400 V. Come sappiamo però, la legge dello Stato ha valore superiore alla norma tecnica: nello specifico la legge 105 del 1949 rimase in vigore lasciando, solo ufficialmente, la tensione nominale nel nostro Paese a 220/380 V.
L’apparato legislativo nazionale è tutt’altro che veloce e occorrerà aspettare fino al 2012, con la pubblicazione del decreto-legge n.1 del 24/01/2012, per vedere abrogata la vecchia legge del ‘49 e vedere ufficializzati i nuovi livelli di tensione 230 V/400 V. Questo lungo periodo di transizione ha creato problemi ad alcuni utenti serviti con livelli di tensione bassi, che causavano problemi ai loro apparecchi elettrici. I livelli bassi di tensione però non potevano essere contestati efficacemente dato che la tensione ufficiale era ancora 220 V ±10%.
Risvolti tecnici di un passaggio indolore… o quasi
Come tutti ricorderanno, il passaggio da 220 a 230 volt in tutte le case italiane, fortunatamente, non ha comportato la sostituzione dei numerosi apparecchi ed elettrodomestici che abbiamo in casa. La tensione garantita dal distributore (salvo buchi e picchi) era di 220±10%, per cui gli apparecchi elettrici erano tenuti a funzionare senza problemi con tensioni comprese tra 198 V e 242 V.
La tensione di 230 volt rientra in questo range e quindi era ed è ampiamente tollerata. Potrebbero sorgere problemi solo con vecchi apparecchi con tensione nominale 220/380 V, nel momento in cui la tensione supera i 242/418 V.
Tolleranze e superamento delle stesse
I limiti della tensione nel punto di connessione, comprensivi di tolleranze, sono descritti dall’art. 4.2.2.2 della Norma CEI EN 50160: in ogni settimana il 95% delle media di tensione calcolate in intervalli di 10 minuti deve rimanere compresa nel ±10% del valore nominale. Mentre il 100% di questi valori medi deve essere compreso tra -15% e + 10% del valore nominale.
Dato che la norma parla di media della tensione nei 10 minuti, l’assenza di sbalzi e cali di tensione di breve durata non è garantita, inoltre è tollerata una tensione fino a -15% nel 5% dei valori negli intervalli di 10 minuti nella settimana, che corrispondono a 504 minuti la settimana in cui la tensione po’ abbassarsi fino a 195,5 V/340 V.
Dal 2012 l’utente italiano è più tutelato, sia dall’ufficializzazione dei nuovi livelli di tensione sia dalla delibera ARG/elt 198/11 Allegato A dell’autorità per l’energia elettrica e il gas (ARERA). Se un utente passivo o attivo (ad esempio con impianto fotovoltaico), ritiene che la tensione ai morsetti del suo contatore permanga fuori dai range di cui sopra, può richiedere al distributore una verifica di tale valore.
Se dalla misurazione risulta tutto regolare l’utente dovrà pagare al distributore 148,71 € per il servizio richiesto; viceversa, se il distributore è in torto, la verifica è gratuita e lo stesso è tenuto a intervenire in modo da far rientrare la tensione nei limiti previsti entro 50 giorni lavorativi.