Occupandosi di furto di energia elettrica, la Corte di Cassazione ha statuito che l’aggravante della destinazione della cosa sottratta al pubblico servizio è decisiva in termini di qualificazione del fatto di reato come procedibile di ufficio piuttosto che a querela di parte.
Nel furto di energia elettrica, l’aggravante della destinazione del bene ha una natura “valutativa”. Da ciò discende che, in assenza di tale specifica, la contestazione dell’aggravante nel reato è ammissibile solo se nella rappresentazione del fatto vi siano una serie di elementi che riescano a rendere “evidente e oggettiva” la destinazione a pubblico servizio della energia elettrica rubata. Così, il soggetto imputato potrà difendersi correttamente e esercitare il diritto di difesa con riferimento alle accuse formulate in tutte le sue componenti.
Seguendo tale principio giuridico la Corte di Cassazione italiana, ha a sua volta affermato che:
«[…] l’impossibilità del consumatore ad agire nei confronti del fornitore, discende dalla impossibilità di invocare a fondamento della ripetizione di indebito la mancata o irregolare trasposizione della direttiva nell’ordinamento interno, senza doversi accertare l’eccessiva difficoltà dovuta alla condizione del fornitore», con ciò modificando il precedente orientamento che, invece, vedeva la possibilità del consumatore di rivolgersi all’erario solo in caso di fallimento del fornitore e rendendolo dunque possibile a prescindere dalla condizione soggettiva del fornitore stesso.
(Cass. pen., Sez. V, sent. 16/10/2024, n. 37953).